In altre parole, vaccinare non serve affatto a limitare efficacemente la diffusione dell’infezione. Anzi…
Ad affermarlo è un importante studio: Increases in COVID-19 are unrelated to levels of vaccination across 68 countries and 2947 counties in the United States, pubblicato sull’European Journal of Epidemiology lo scorso 30 settembre, in cui si indaga la relazione tra la percentuale di popolazione completamente vaccinata e i nuovi casi di COVID-19 in 68 paesi e in 2.947 contee negli Stati Uniti.
Laddove si sono conseguiti tassi di vaccinazione più alta, i dati non mostrano alcuna significativa diminuzione di casi COVID-19 (Fig. 1).
Ecco il commento dei ricercatori che sulla base delle misurazioni effettuate hanno potuto stabilire che alti livelli di vaccinazione non offrono alcuna protezione supplementare rispetto a basse percentuali di vaccinazione:
Delle prime 5 contee che hanno la più alta percentuale di popolazione completamente vaccinata (99,9-84,3%), i centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) ne identificano 4 come contee ad ‘alta’ trasmissione. Le contee di Chattahoochee (Georgia), McKinley (Nuovo Messico) e Arecibo (Porto Rico) hanno oltre il 90% della loro popolazione completamente vaccinata e tutte e tre sono classificate come trasmissione ‘alta’. Al contrario, delle 57 contee che sono state classificate come contee ‘a bassa’ trasmissione dal CDC, il 26,3% (15) ha una percentuale di popolazione completamente vaccinata inferiore al 20%.
E ancora:
A livello nazionale, non sembra esserci alcuna relazione distinguibile tra la percentuale di popolazione completamente vaccinata e i nuovi casi di COVID-19 negli ultimi 7 giorni (Fig. 2). In effetti, la linea di tendenza suggerisce un’associazione marginalmente positiva in modo tale che i paesi con una percentuale più elevata di popolazione completamente vaccinata abbiano casi COVID-19 più elevati per 1 milione di persone. In particolare, Israele con oltre il 60% della popolazione completamente vaccinata ha avuto i casi di COVID-19 più alti per milione di persone negli ultimi 7 giorni. La mancanza di un’associazione significativa tra la percentuale di popolazione completamente vaccinata e i nuovi casi di COVID-19 è ulteriormente esemplificata, ad esempio, dal confronto tra Islanda e Portogallo. Entrambi i paesi hanno oltre il 75% della loro popolazione completamente vaccinata e hanno più casi di COVID-19 per milione di persone rispetto a paesi come il Vietnam e il Sudafrica che hanno circa il 10% della loro popolazione completamente vaccinata.
Mentre la protezione offerta dalla immunizzazione naturale è permanente ed efficace, a causa della attivazione delle cellule della memoria immunitaria nei soggetti venuti a contatto con il virus, quella offerta dalla “immunizzazione” artificiale è temporanea ed inefficace poiché gli anticorpi vaccinali quando si sviluppano hanno durata di pochi mesi e risultano spesso non neutralizzanti rispetto alle forme mutanti (varianti) del virus effettivamente circolante. L’immunizzazione artificiale è oltretutto controproducente per la induzione della comparsa di varianti virali resistenti agli anticorpi vaccinali con rischio connesso di sviluppo di ADE da vaccino nei soggetti inoculati.
Il sacrificio delle popolazioni sottoposte al rischio di consistenti danni da vaccino servirà perciò solo a peggiorare lo stato delle cose rendendo impossibile quella immunità di gruppo o di gregge che dir si voglia che si sarebbe facilmente raggiunta grazie all’immunizzazione naturale.
Va da sé che il green pass non è affatto strumento di limitazione del contagio né dell’infezione; esso, viceversa, garantisce la diffusione delle varianti virali selezionate dai vaccinati in quanto resistenti agli anticorpi vaccinali, prolungando indefinitamente lo stato endemico e l’emergenza che ne derivano.
In tutti quei casi in cui il green pass è ottenuto grazie alla partecipazione alla campagna vaccinale esso conferisce una sorta di patente d’untore legalizzato a chi ne vanta il possesso.
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