Solo qualche nota di riflessione che spero possa contribuire alla formazione di un’idea personale sullo “stato delle cose”.
Premetto che il mio discorrere non si pone mai su di un piano assoluto, assoluta verità, assoluta oggettività ecc, quando utilizzo la definizione “stato delle cose“ non ho la pretesa di poterla definire e nemmeno di potervi accedere in ogni momento.
Credo però che in questo frangente occorra porsi su di un piano contingente rispetto alla realtà e su di esso agire.
In ogni caso il piano delle istanze non esclude quello assoluto e viceversa.
In effetti sul piano assoluto, il problema non si pone, tutto viene trasceso, a quel livello di percezione “la mia vita non è cosi seria come la mia mente me lo fa credere”, appunto perchè la mia vita personale è in realtà compresa nel fenomeno unitario e vasto della vita stessa.
Nella pratica artistica succede a volte di andare oltre, o fuori, o altrove rispetto alla quotidianità, io stesso ho sentito questa potente corrente attraversarmi, al punto di capire che non sono io il vero creatore dell’opera, ma probabilmente soltanto un ponte, una membrana fra il mondo dello spirito e quello della manifestazione.
Dal momento in cui si accetta la percezione di una continuità fra corpo e spirito, molte cose cambiano e soprattutto quello di non poter essere assimilati, noi donne e uomini artisti, a prodotti da commercializzare al posto delle merci stesse e nemmeno essere considerati come puro fenomeno biologico.
Noto invece tale tendenza affermarsi a livello generale.
Ecco il piano su cui bisogna agire, ecco la dinamica a cui bisogna opporsi.
Certo, un artista non deve necessariamente intervenire in ambito politico, culturale o sociale, un artista può benissimo trovare una buona coerenza, scegliendo attitudini che si collocano a monte o dietro a questi temi, ponendosi linee guida forti, ma che rimangono per cosi dire invisibili, o sotto traccia.
Un artista può trovare risposte dettate da uno stile di vita, da un modo di promuovere la sua arte, di gestire i tempi di creazione.
La tecnica che in fin dei conti esprime le modalità ed i mezzi con cui l’artista esegue l’opera, è essa stessa una presa di posizione rispetto alla realtà, una visione del mondo.
Il modo di toccare una tela, “la touche”, sono l’espressione della parte più intima del pittore.
L’artista come il re è nudo, non tanto per cosa dice ma soprattutto per come lo dice.
Adesso però siamo in una situazione d’emergenza, non pandemica a questo punto, ma democratica ed è quindi necessario emettere un suono chiaro.
Non mi sembra che gli artisti, tranne qualche rara eccezione, lo abbiano fatto.
Molti di loro hanno assunto il ruolo di funzionari, che pur di non perdere la sovvenzione, o il contributo statale, nei migliore dei casi, non ha osato dissentire.
Ciò che si sta mettendo in atto sul piano politico é barattare il lavoro con la salute, il che rileva semplicemente della logica della tortura, di fronte all’autorità é inammissibile mettere questi due ambiti sui piatti della stessa bilancia.
Ho visto esponenti di associazioni artistiche promuovere le virtù di danze beneficamente promiscue, richiedendo allo stesso tempo l’obbligo del Green pass o del Super green pass per potervi accedere, solo per fare un esempio.
Non serve a molto giustificarsi dicendo che altrimenti non si può esercitare la professione, niente davanti ai morti, niente davanti alla discriminazione, niente davanti alla privazione di autonomia.
Non è possibile sostenere chi, a scapito di altri che stanno perdendo il diritto al lavoro e qualsiasi libertà di espressione, promuovono di fatto il regime totalitario vigente.
Dedicato a tutti quelli per cui il male non è banale.
Penso che l’etica interna al loro operare sia stata compromessa definitivamente a scapito di tutta la loro creazione, forse non nell’immediato, ma a lungo andare sicuramente.
Che cosa viene richiesto direttamente o indirettamente ad un artista oggi?
Ad un artista viene richiesto di essere un pensatore; non c’è più il Papa, l’autorità ecclesiastica canonica preposta, a decretare quale sia la posizione del bue o dell’asinello all’interno di questo presepe contemporaneo.
Tocca all’artista di indagare all’interno della tradizione, e di sé stesso, per trovare lui, la propria cifra espressiva; in questo senso anche il ragliare dell’asino, per tornare all’immagine del presepe, è un segno chiaro ed inequivocabile, potrebbe essere l’immagine iconica di un insubordinazione testarda, di un sentimento di intollerabile privazione, di una recalcitrante insottomissione.
Molti artisti nel corso della storia hanno provato a scardinare l’ordine costituito, da Caravaggio che usava prostitute come modelle per le sue vergini madonne, per arrivare a Kunellis che ha esposto cavalli in una galleria, trasformandola in una stalla.
Molti di questi tentativi sono stati recuperati dai poteri forti, rientrati alla svelta nel sistema produttivo artistico vigente, penso però che siano state manifestazioni genuine ed autorevoli e che abbiano lasciato un segno su molti proseliti che hanno saputo coglierle.
Le forme della produzione artistica stanno cambiando enormemente quantitativamente e qualitativamente, non si tratta di essere pro o contro il cambiamento, né tanto meno essere pro o contro il progresso.
Si tratta invece di scorgere quali siano state le forzature nella definizione di queste parole, si tratta probabilmente di dargli un’altra definizione.
Che la creazione assistita da computer o anche da intelligenza artificiale non siano aspetti negativi di per sé mi sembra essere chiaro; lo diventano quando l’artista è rilegato in una posizione passiva nel processo creativo, lo diventano quando queste nozioni sono praticamente proposte come unica soluzione, senza rispetto per le minoranze e per alternative di vario genere.
Questa grande vicenda dell’accesso preferenziale ai dati, che da potere culturale ed economica chi li possiede, rischia di escludere la stragrande maggioranza che ne possiede solo di seconda mano, o addirittura di seconda o terza categoria.
Definizioni come “green economy”, “green-pass”, “green-world” e perfino “green-art”, mi sembrano essere viziate nella forma e perfino nel contenuto.
Vorrei terminare con un interrogativo, quasi una proposta in verità.
A detta di molti siamo in uno “stato totalitario”.
In un una situazione di “delirio collettivo indotto”, dove si sostituite alla realtà una sua rappresentazione, qual’è lo scopo dell’arte?
Essendo che essa è sempre stata la forma di rappresentazione per eccellenza, non sarebbe auspicabile che si sposti sul piano di una pratica tangibile e poetica?
Che cessi in qualche modo di rappresentare qualcosa per divenire esperienza poetica della realtà?
Le immagini presenti in questo articolo sono di proprietà dei rispettivi autori (vedi fonte), a meno che non sia diversamente specificato.